Veneto, sotto la lente dell’ISS: il primo studio sull’esposizione alimentare

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I PFAS sono contaminanti emergenti che sono stati ampiamente utilizzati dagli anni ’50 a causa delle loro caratteristiche fisiche e chimiche che li rendono utili nelle applicazioni industriali. Tuttavia, il loro uso estensivo, unito alla loro persistenza e bioaccumulo, ha portato alla loro diffusa presenza nell’ambiente e negli organismi viventi, compreso l’uomo.

Come riportato dal Quotidiano Sanità, la Regione Veneto in Italia ha pubblicato sul proprio sito uno studio realizzato dal Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria (DSANV) dell’Istituto Superiore di Sanità, dal titolo “Contaminazione da Sostanze Perfluoroalchiliche (PFAS) in Veneto: Valutazione della Esposizione alimentare e caratterizzazione del rischio.”

Lo studio mostra che l’esposizione al PFAS avviene principalmente attraverso il consumo di acqua e alimenti contaminati. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha individuato nel PFOA e nel PFOS i due principali PFAS che potrebbero rappresentare un potenziale problema di salute pubblica a causa della loro presenza negli alimenti della popolazione europea. Secondo l’EFSA, alcune popolazioni europee potrebbero superare la dose settimanale tollerabile (TWI) di 6 ng/kg p.c. (PFOA) o 13 mg/kg p.c. (PFOS) e sono stati osservati effetti sulla salute come una ridotta risposta immunitaria nei bambini e un aumento del colesterolo negli adulti anche a dosi più basse.

Lo studio dell’Iss ha inizialmente monitorato gli alimenti prodotti nelle aree più contaminate (“zone rosse”) e stimato l’esposizione per diverse fasce di età. I risultati indicano che il PFOA è il composto più importante in termini di esposizione e rischio, con l’acqua potabile che rappresenta la principale via di esposizione. Il cibo locale, come latte, uova e pesce, contribuisce meno all’esposizione. Lo studio evidenzia inoltre come l’intervento sulla rete idrica abbia ridotto sensibilmente l’esposizione, con livelli di esposizione per gli allacciati alla rete indistinguibili da quelli del resto del Nord-Est. Tuttavia, lo studio mostra che i gruppi nella zona rossa, che consumano acqua di pozzo, hanno ancora alti livelli di esposizione, in particolare i bambini, i cui livelli di esposizione sono circa il doppio di quelli degli adulti. Nel caso del PFOS, il cibo contribuisce maggiormente all’esposizione rispetto all’acqua, ma i livelli di esposizione complessiva sono inferiori rispetto al PFOA.

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Quotidiano Sanità: il caso del Veneto sotto la lente dell’ISS