Veneto, Italia

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Presenza di PFAS in Veneto

Nel 2013 è stato rilevato un grave inquinamento da PFAS nell’area compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova, estesa su circa 180 km2, rappresentando il più grande inquinamento di PFAS d’Europa per importanza ed estensione. Circa 300.000 persone sono state esposte per oltre cinquant’anni a queste sostanze ingerendole con l’acqua contaminata e con gli alimenti prodotti con acque superficiali e/o prelevate dalle falde profonde.

La contaminazione fu scoperta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che negli anni 2011-2013, su incarico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), dimostrò la presenza di PFAS lungo l’Asta del fiume Po e altri fiumi della Toscana, del Veneto e del Lazio.

Ai circa 2.000 residenti della zona ad alta concentrazione di PFAS è stato proposto di sottoporsi a un trattamento di lavaggio del sangue, noto come plasmaferesi. Questa tecnica consente di separare la componente liquida del sangue, il plasma, dalla componente cellulare e rimuovere le sostanze dannose.

A seguito dei solleciti della Regione, il Ministero della Salute ha stabilito i valori massimi di concentrazione di PFAS nelle acque destinate al consumo umano nel gennaio 2014:

300 ng/L per i PFOS;

500 ng/L per i PFOA;

500 ng/L per gli altri PFAS.

Nel 2015, l’azienda sanitaria locale vicentina ha condotto uno screening su 270 persone, dal quale è emerso che i livelli di PFAS nel sangue superavano di 35 volte il limite di 8 ng/Kg di peso corporeo alla settimana. È importante notare che, dal 2020, la nuova soglia di sicurezza stabilita dall’EFSA è stata ridotta a 4,4 ng/Kg di peso corporeo alla settimana.

Il 3 ottobre 2017, la giunta regionale del Veneto ha imposto limiti più restrittivi sulla presenza di sostanze perfluoroalchiliche nell’acqua potabile per mitigare il problema. I nuovi limiti sono stati fissati a 30 ng/L per i PFOS e 90 ng/L per la somma di PFOA e PFOS.

Attualmente per rispettare i limiti imposti dalla Regione Veneto su indicazione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), e per mettere in sicurezza l’acqua potabile della zona interessata, questi comuni hanno dovuto installare sistemi di filtrazione a carboni attivi, una tecnologia molto costosa. I filtri devono essere sostituiti ogni 4 mesi per garantire la sicurezza dell’acqua potabile. Questa situazione rappresenta un grave problema per le comunità coinvolte, che devono affrontare costi elevati per la manutenzione dei sistemi di filtrazione e il continuo monitoraggio della qualità dell’acqua potabile.

Piano di monitoraggio degli alimenti

L’acqua rappresenta la principale fonte di esposizione a PFAS per i residenti in aree in cui le acque potabili sono contaminate. Anche gli alimenti, però, possono contribuire all’apporto di PFAS, in particolare per il PFOS che ha una capacità di bioaccumulo negli organismi viventi più elevata.

Tra la fine del 2016 e il 2017 è stato condotto un monitoraggio nella cosiddetta “area rossa” dall’Istituto Superiore di Sanità, in accordo con la Regione del Veneto, sulla presenza di PFAS negli alimenti di produzione locale nell’area inquinata del Veneto.

I PFAS analizzati sono stati 12: PFOA, PFOS, PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFNA, PFDeA, PFUnA, PFDoA. La figura 1 evidenzia in rosso i 30 comuni appartenenti alla zona rossa, di cui 27 sono stati campionati per gli alimenti e sono evidenziati in grassetto. La figura 2 riporta i comuni coinvolti nel campionamento.

Lo studio ha rivelato che gli alimenti di origine vegetale (mele, pere, altra frutta, uva da vino, patate, radicchio, lattuga, pomodoro, asparago, cipolla, altre verdure, mais) sono esenti da contaminazione rilevabile da PFOS e PFOA, ad eccezione di alcuni campioni di mais, i cui livelli di PFOA erano in ogni caso estremamente bassi. Riguardo gli alimenti di origine animale (muscolo e fegato di suini, bovini, avicoli, latte, uova) hanno mostrato livelli variabili di contaminazione.

I livelli di contaminazione riscontrati nelle specie ittiche hanno suggerito l’opportunità di individuare misure precauzionali. Sulla base dei risultati della ricerca, il Presidente della Regione del Veneto ha emesso un’ordinanza con la quale viene vietato il consumo di pesce pescato nelle acque superficiali in tutti i 21 Comuni della cosiddetta “zona rossa”. Il divieto, in vigore per un anno dal 10 novembre 2017, è stato prorogato fino al 30 giugno 2019.

Livelli sierici di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS)

Sono state riportate le concentrazioni sieriche di PFAS negli adolescenti e nei giovani adulti esposti ad acqua potabile contaminata nella regione Veneto.

Una volta effettuati esami del sangue e delle urine, i campioni prelevati dai partecipanti, non a digiuno, sono stati inviati al laboratorio dell’Azienda Sanitaria Locale per l’analisi di creatinina sierica, acido urico, aspartato aminotransferasi (AST), alanina aminotransferasi (ALT), emoglobina glicata, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, tiroide -ormone stimolante (TSH) e rapporto tra albumina e creatinina nelle urine.

Ulteriori campioni di sangue di ciascun individuo vengono inviati settimanalmente al laboratorio ARPAV per la misurazione di 12 PFAS mediante cromatografia liquida ad alta prestazione-spettrometria di massa tandem: PFBA, PFBS, PFPeA, PFHxA, PFHxS, PFHpA, PFOA, PFOS, PFNA, PFDeA, PFUnA e PFDoA.

I risultati mostrano che solo tre dei 12 PFAS erano quantificabili in almeno l’80% dei campioni di siero: il principale contaminante era il PFOA, seguito da PFHxS e PFOS.

Lo studio ha anche evidenziato che le femmine avevano concentrazioni sieriche significativamente inferiori di PFOA, PFOS e PFHxS rispetto ai maschi. Inoltre, la gravidanza, il parto e l’allattamento sono vie di escrezione note per le donne.

Per quanto riguarda i fattori dello stile di vita, l’assunzione di alcol ha mostrato un’associazione positiva significativa con tutti i PFAS, in particolare PFOS e PFOA. Rispetto alle concentrazioni nei non fumatori, le concentrazioni di PFOA erano significativamente inferiori negli ex fumatori e le concentrazioni di PFOS erano significativamente inferiori sia nei fumatori attuali che in quelli precedenti.

Le concentrazioni di PFOS erano significativamente più elevate con l’aumento dell’assunzione di pesce, uova e frutta/verdura, e anche l’assunzione di frutta/verdura era associata all’aumento delle concentrazioni di PFHxS. L’ingestione di latte/yogurt e dolci/snack/ bevande dolci erano associati a concentrazioni più basse di tutti i PFAS. Il consumo di carne era associato a concentrazioni inferiori di PFOA e PFHxS.

PFBA e PFBS sono stati trovati in alte concentrazioni nell’acqua potabile, ma sono stati rilevati solo in una minoranza di campioni di siero a concentrazioni relativamente basse, mentre PFOS e PFHxS, che erano scarsamente rappresentati nell’acqua potabile, sono stati rilevati in quasi il 100% dei campioni di siero.

In sintesi, la popolazione studiata, composta da oltre 18.000 soggetti di età compresa tra 14 e 39 anni che erano stati esposti ad acqua potabile contaminata da PFAS, ha mostrato concentrazioni sieriche di PFOA più elevate rispetto ad altre popolazioni con esposizione residenziale.

Link utili

https://www.certifico.com/newsletter/archive/view/listid-65-impianti/mailid-36100-veneto-inquinamento-pfas-timeline-normativa-e-documenti

https://www.aulss8.veneto.it/nodo.php/3440